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L’accusa di omicidio a carico dell’ex-moglie Patrizia Reggiani, da cui Maurizio Gucci si era separato nel 1985 e da cui aveva divorziato un anno prima di venire assassinato a sangue freddo su un marciapiede milanese, è stata il culmine di una serie di indagini che avevano passato in rassegna la vita pubblica e privata dell’ultimo rampollo della prestigiosa casa di moda toscana.
La morte di Maurizio Gucci avvenuta la mattina del 27 marzo 1995 a Milano non è più un mistero. L’accusa di omicidio a carico dell’ex-moglie Patrizia Reggiani, da cui Maurizio Gucci si era separato nel 1985 e da cui aveva divorziato un anno prima di venire assassinato a sangue freddo su un marciapiede milanese, è stata il culmine di una serie di indagini che avevano passato in rassegna la vita pubblica e privata dell’ultimo rampollo della prestigiosa casa di moda toscana.
Prima che Patrizia Reggiani venisse accusata, processata e arrestata per l’omicidio del marito, gli inquirenti e la stampa avevano iniziato ad indagare sugli affari di Maurizio Gucci che si trovava in un momento di importanti cambiamenti nella vita professionale.
Investcorp
Con i soldi che aveva ricavato dalla vendita della sua quota del 50% dell’azienda di famiglia alla società araba Investcorp (per 270 miliardi di vecchie lire) aveva intenzione di aprire un casinò in Svizzera e un porto turistico in Spagna.
Investcorp è una società di private equity con sede in Bahrain, che per mestiere rileva quote di società con grosso potenziale, per portarle alla quotazione in Borsa e rivendere il pacchetto azionario sul mercato a un prezzo appetibile. All’epoca Investcorp era poco conosciuta nel mondo finanziario, anche se aveva fatto una fortuna con il salvataggio di Tiffany&Co. e la successiva quotazione in Borsa.
L’accordo con Investcorp era nato nel 1989, dopo che l’erede di Rodolfo Gucci, uno dei figli del fondatore Guccio, era riuscito a chiudere, a seguito di varie vicende giudiziarie, lo scontro con i cugini Giorgio, Paolo e Roberto, figli di Aldo (fratello di Rodolfo).
Le piste dell’omicidio Gucci
Nonostante l’intervento della Investcorp avesse portato Maurizio Gucci a ottenere il totale controllo dell’azienda di famiglia, la sua gestione dispendiosa acuì le tensioni con la società del Golfo Persico.
All’inizio del 1993 la società finanziaria provò a mettere alle strette Maurizio Gucci pretendendo un aumento di capitale, ben sapendo che l’uomo era a corto di liquidità.
A cinque giorni dalla scadenza del termine, Maurizio pagò l’aumento di capitale, rivelando di aver trovato i soldi sotto una mattonella, grazie al suggerimento di suo padre, che gli era apparso in sogno.
Dopo la morte, avvenuta a due anni da quel fatto, gli inquirenti indagarono sulla provenienza del denaro, convinti che dietro l’omicidio ci fosse un finanziatore occulto che probabilmente non era stato ripagato del prestito che aveva concesso.
Gli investigatori, però, accertarono successivamente che Maurizio Gucci aveva onorato quel debito e non gli restava altro che dirigere le indagini verso la vita privata dell’uomo.
Banchiere, faccendiere, e criminale: ascesa e caduta di Michele Sindona, dalla consacrazione a mago della finanza internazionale, fino alla morte in carcere per un caffè avvelenato.
Sul fallimento della Franklin Bank indagò anche l’FBI e il Senato degli Stati Uniti istituì una commissione d’inchiesta che scoprì che nel 1974 Michele Sindona aveva trasferito 2 miliardi di lire alla DC (Democrazia Cristiana) con libretti al portatore.
Sembra che con quelle operazioni siano transitati parecchi milioni di lire attraverso la CIA (l’intelligence statunitense), la stessa Franklin Bank, e il SID (i servizi segreti italiani).
I soldi sarebbero serviti per finanziare la campagna elettorale di 21 politici italiani.
I rapporti di Michele Sindona con la P2
La loggia massonica Propaganda Due(P2) è stata un’associazione segreta nata durante la Guerra Fredda in chiave anti-comunista. Gestita da Licio Gelli, si conoscono i nomi di 972 iscritti. Ha raccolto politici, giornalisti, uomini d’affari, delle Forze Armate, e dei servizi segreti con l’obiettivo di realizzare il “Piano di rinascita nazionale”: un programma di trasformazione autoritaria dello stato.
Al salvataggio della Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona erano interessati sia Licio Gelli, capo dell’organizzazione criminale P2, che il divo Giulio Andreotti, che aveva interessato due parlamentari affiliati alla loggia.
La Banca d’Italiaostacolò fortemente il salvataggio della banca, così Michele Sindona si rivolse al banchiere Roberto Calvi.
I due si erano conosciuti alla fine degli anni Sessanta, quando Sindona aveva aiutato Calvi a costituire delle società off shore.
Inoltre, qualche anno dopo, Sindona aveva presentato Calvi a Gelli e lo aveva introdotto nella P2.
Di fronte al rifiuto di Calvi di aiutarlo a ripianare i debiti della Banca Privata, Sindona una notte si vendicò attaccando per tutta Milano dei manifesti che riportavano le operazioni irregolari del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.
Il carcere e la morte
Dopo l’arresto in una cabina telefonica di Manhattan nel 1980, seguì la condanna a 25 anni di carcere per frode, spergiuro, appropriazione indebita di fondi bancari.
Mentre si trovava nelle prigioni federali statunitensi, il governo italiano presentò domanda di estradizione perché Sindona potesse presenziare al processo per l’omicidio di Giorgio Ambrosoli.
Sindona rientrò in Italia, dove ricevette la condanna a 12 anni per frode, per il fallimento della Banca Privata Finanziaria, e l’ergastolo per essere stato il mandante dell’omicidio Ambrosoli.
Qualche giorno dopo la condanna all’ergastolo, Michele Sindona bevve un caffè al cianuro di potassio e morì due giorni dopo.
Sebbene ufficialmente si trattò di suicidio, la sua morte fu probabilmente un tentativo di auto-avvelenamento, al fine di ottenere l’estradizione negli Stati Uniti, dove si sarebbe sentito al sicuro.
Tra le ipotesi c’è anche quella che qualcuno avrebbe voluto toglierlo di mezzo, e lo abbia manipolato fornendogli il veleno per fargli simulare un suicidio, e facendogli credere che una bustina di cianuro gli avrebbe causato un semplice malore.
Qualcuno che aveva paura che Michele Sindona, ormai senza più niente da perdere, avesse potuto svelare i segreti della vita politica italiana, ammanicata con Cosa Nostra, i servizi segreti.
Il faccendiere Michele Sindona è stato il mandante dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli, il commissario di Bankitalia che indagò sul crac delle sue banche.
Oggi vi racconto la prima parte di questa storia.
Michele Sindona, 62 anni, siciliano, avvocato. Anni fa l’Economist (…) lo ha definito il più grande finanziere europeo e il Times, l’italiano di maggior successo dopo Mussolini (…). Nel ’74, al culmine della carriera, controllava 146 società in 11 paesi del mondo. (…) Oggi il suo nome è legato al più gigantesco e losco intreccio del secolo. Ne sono coinvolti politici e banchieri, cardinali e giudici, mafiosi e interi stati, assassini e assassinati.
Era il 1983 e Michele Sindona, condannato a 25 anni di prigione dal tribunale di New York per il fallimento della Franklin National Bank, si trovava recluso nel penitenziario di Otisville, a un’ora e mezza da New York.
Imputato con 65 capi d’accusa, quella di Michele Sindona era la più severa condanna che un colletto bianco avesse mai avuto nella storia degli Stati Uniti.
Specialista in esportazione di capitali e paradisi fiscali
Michele Sindona nasce nel 1920 a Patti, in Sicilia, per trasferirsi a Milano appena finita la guerra, nel 1946, dove apre uno studio di consulenza tributaria e legale e collabora con importanti società immobiliari.
Le sue specialità sono la pianificazione fiscale, l’esportazione di capitali, e il funzionamento dei paradisi fiscali e anche una certa spregiudicatezza, grazie a cui mette a segno operazioni di Borsa molto vantaggiose, che sono la base per l’attività di banchiere che svilupperà in seguito.
Negli anni Sessanta introduce a Piazza Affari gli strumenti di Wall Street, come l’OPA (offerta pubblica di acquisto), il conglomerate (quando una grande compagnia è divisa in settori che si occupano di affari completamente differenti tra loro), il private equity, (quando un investitore istituzionale acquista le azioni di una società non quotata su mercati regolamentati).
Diventato amico di esponenti della mafia, nel 1961 Michele Sindona compra la Banca Privata Finanziaria e, attraverso la sua capogruppo (holding) lussemburghese Fascoacquisisce anche altre società.
Nel 1969 conosce il cardinale Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI, che fa entrare la banca vaticana IOR (Istituto per le Opere Religiose) nella Banca Privata Finanziaria, mentre Sindona continua a spostare i capitali verso le banche svizzere per speculare su scala internazionale.
Ma il colpaccio che Michele Sindona avrebbe voluto mettere a segno arriva nel 1971, quando si mette alla guida di un’OPA sulla Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali.
L’operazione avrebbe portato alla nascita di un fronte di finanza bianca, legato alla DC (Democrazia Cristiana) di Giulio Andreotti e in contrapposizione alla finanza laica.
Inoltre, se il piano fosse riuscito, si sarebbe aperta la strada per una serie di fusioni, scalate, e controlli attraverso pacchetti di maggioranza, di solide società appartenenti ai più disparati settori dell’economia italiana.
Il crac Sindona
Nel 1972 Michele Sindona entra nella Franklin National Bank, tra i primi venti istituti di credito degli Stati Uniti, e partecipa al capitale di altre banche, tra cui la Finabank di Ginevra e la Continental Illinois di Chicago.
Nell’aprile del 1974 un crollo del mercato azionario si trascina dietro la Banca Privata Italiana e la banca Franklin, insolvente per frode, speculazioni in valuta estera e cattiva gestione dei prestiti.
Già nel 1971 la Banca d’Italia ha iniziato a investigare sulle attività delle banche di Sindona, da cui emergono contabilità in nero.
Molti enti pubblici (tra cui l’INPS) avevano affidato i propri depositi a Sindona, su cui applicava tassi d’interesse, sempre in nero, che fruttavano i soldi per le tangenti con cui corrompere amministratori e uomini politici.
Un giallo nel giallo: l’omicidio Ambrosoli
A seguito del fallimento della Banca Privata Italiana, nel 1974 la Banca d’Italia nomina un commissario liquidatore, l’avvocato Giorgio Ambrosoli, che esamina la trama intrecciata e articolata delle operazioni che Michele Sindona aveva messo in piedi.
Ambrosoli scopre che dietro il crac c’erano i depositi fiduciari: le banche trasferivano i soldi dei depositi dei clienti presso consociate estere e poi li utilizzavano sottobanco per finanziare le altre società del gruppo Sindona
Ambrosoli inizia a ricevere pressioni e tentativi di corruzione, affinché certifichi la buona fede di Sindona e gli eviti il carcere. Ma lo Stato italiano, per mezzo della Banca d’Italia, non poteva coprire le violazioni con cui Michele Sindona aveva creato quegli ingenti scoperti.
Per questo motivo, Giorgio Ambrosoli, pur cosciente del fatto che sta rischiando la pelle, conferma la responsabilità penale di Michele Sindona.
L’11 luglio del 1979 Giorgio Ambrosoli viene ucciso da quattro colpi di pistola da un malavitoso americano, mandato dallo stesso Sindona.
Giorgio Ambrosoli: un eroe borghese
Per approfondire l’indagine del commissario liquidatore Giorgio Ambrosoli, è molto consigliata la visione del film Un eroe borghese, di Michele Placido (disponibile su YouTube).
Il film del 1995, attraverso materiale originale dell’epoca, ricostruisce gli antefatti che portarono al barbaro omicidio.
Il ruolo di Ambrosoli è affidato a Fabrizio Bentivoglio, che restituisce perfettamente la figura di uomo di Stato e a cui lo Stato aveva affidato un incarico prestigioso e altrettanto oneroso, per poi ritrovarselo contro.
La tematica dell’uomo rappresentante della legge è incarnata anche dall’integerrimo maresciallo della Guardia di Finanza (interpretato da Michele Placido) che affianca Ambrosoli nelle indagini.
Abbandonati dagli amici e dalle loro autorità di riferimento, i due uomini si muovono in una Milano oscura, nel pieno degli anni di piombo, fatta di ricatti e tentativi di corruzione.
Ma con un’unica e sola certezza: quella di stare dalla parte giusta.
Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, nota banca italiana vicina agli ambienti finanziari del Vaticano, fu trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982.
Suicidio o omicidio? La sua morte è rimasta avvolta nel mistero per molti anni, e intrecciata a quella di un altro banchiere che fece più o meno la sua stessa fine, il faccendiere Michele Sindona, avvelenato nel carcere di Voghera il 22 marzo 1986.
Questa è la storia di un banchiere. Ma anche di soldi. Di tantissimi soldi. Ma è anche la storia di faccendieri, monsignori, dittatori, mafiosi, assassini, e politici.
Nato a Milano nel 1920, Roberto Calvi entrò come impiegato presso il Banco Ambrosiano, la banca dei preti (come la chiamano a Milano) nel 1947, dopo essere ritornato dalla guerra.
Negli anni ’70 si alleò con Michele Sindona, banchiere siciliano, che lo introdusse alla Borsa, alle speculazioni finanziarie e alle società con sede nei paradisi fiscali.
Con l’appoggio del Vaticano trasformò l’onesto e prudente Banco Ambrosiano in una banca d’affari, e acquisì altre banche e società di assicurazioni, fino a entrare nel giro della politica e della massoneria.
La carriera di Roberto Calvi fu velocissima.
Nel settore estero della banca si fece una notevole esperienza sui paradisi fiscali e nel 1960 diventò responsabile per le operazioni di carattere finanziario, entrando così anche nei Consigli di Amministrazione di molte società controllate.
Dopo la nomina a direttore generale nel 1971 e a vicepresidente nel 1974, nel 1975 divenne presidente del Banco, avviando una serie di speculazioni finanziarie internazionale.
Di faccendieri, monsignori, dittatori, mafiosi, assassini, e politici
Strinse una collaborazione con l’Istituto per le Opere Religiose (IOR), la banca vaticana.
Fondamentali furono le amicizie con membri della mafia e della politica, sia italiana che latino-americana.
E non ultimi quelli con la loggia massonica Propaganda 2 (P2), in cui venne introdotto tramite il banchiere e faccendiere Michele Sindona.
L’ingresso nel Consiglio di Amministrazione dell’Università Bocconi segnò la consacrazione di Roberto Calvi a membro del salotto buono della finanza italiana, mentre non si arrestava la sua ascesa di finanziere aggressivo.
Costruì una fitta rete di società fantasma in paradisi fiscali. Acquistò una banca in Svizzera. Fondò una finanziaria in Lussemburgo.
Con l’arcivescovo Paul Marcinkus, detto il Gorilla, perché addetto alla sicurezza di Papa Paolo IV, fondò la Cisalpine Overseas alle Bahamas.
La banca fu successivamente messa sotto inchiesta per riciclaggio di soldi provenienti dal narcotraffico.
Su richiesta dello stesso Vaticano, finanziò paesi e associazioni politiche e religiose soprattutto nell’Europa Orientale, che all’epoca era sotto il regime filo-sovietico.
Caduta
Nel 1978 un’ispezione della Banca d’Italia nel Banco Ambrosiano riscontrò molte irregolarità.
A rimetterci furono il giudice che aveva segnalato tali irregolarità, ucciso nel 1979 da un commando di terroristi, e il Governatore e il Vice Direttore della Banca d’Italia, che avevano voluto l’ispezione, e che subirono l’accusa di irregolarità, e per questo arrestati, e poi prosciolti nel 1983 per infondatezza delle accuse.
Dopo la scoperta della loggia massonica P2 e il suo scioglimento, in quanto organizzazione criminale ed eversiva, Roberto Calvi perse una preziosa protezione.
A corto di liquidità, e già invischiato in un affare di tangenti pagate al leader del Partito Socialista Bettino Craxi in cambio di finanziamenti da grosse società, Roberto Calvi si legò a Flavio Carboni, a sua volta legato alla mafia di Pippo Calò e alla sanguinaria organizzazione malavitosa romana della Banda della Magliana, con cui condusse operazioni di riciclaggio di denaro sporco.
Estromesso dal Banco Ambrosiano per via dell’arresto per reati valutari, e abbandonato anche dallo IOR, preoccupato dei fatti criminosi che stavano emergendo, Roberto Calvi decise di fuggire all’estero in gran segreto.
Un giorno prima del ritrovamento del cadavere di Calvi a Londra, la sua segretaria a Milano si era suicidata lanciandosi dalla finestra del suo ufficio, al quarto piano.
Sulla morte di Calvi, che inizialmente la magistratura britannica archiviò come suicidio, fu fatta chiarezza soltanto nel 1996.
Una persona vicina al mandante dell’omicidio dichiarò che ad ucciderlo era stata una persona appartenente a un clan camorrista che aveva affidato a Calvi dei soldi che poi il finanziere milanese aveva perso.
La punta delle scarpe
Nonostante la sua morte violenta e il lungo processo per arrivare alla verità non lascino indifferenti dal punto di vista umano, i suoi legami con la malavita e il suo operato non cristallino ne fanno una figura ambigua e opaca.
La grande finanza milanese, non l’aveva mai accettato completamente, poiché lo considerava solamente un miscuglio di ambiguità e reticenza che pensava solamente al lavoro e non si divertiva mai. Illuminante, a tal proposito, è la citazione di Gianni Agnelli, allora Presidente di Confindustria, su Calvi: come si fa a vivere guardandosi la punta delle scarpe?
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